Giacomo Levi Civita – Podcast

Benvenuto, caro visitatore. Ora che sei qui, dinnanzi alla mia lapide, i ricordi della mia esistenza emergono dal passato e giungono a nuova vita in questo istante, attraverso la mia voce. Sono Giacomo Levi Civita, nato in una ricca famiglia di origine ebraica, destinato a recitare la mia parte nel costante e inesorabile corso della storia. Fin da piccolo potevo percepire il peso del mondo intorno a me, gli echi del passato che risuonavano per le strade di Padova… la mia Padova, di cui mi sarei preso cura, amandola con tutto me stesso, proteggendola e accompagnandola verso il futuro.

Fin da ragazzino non sopportavo la dominazione austriaca che attanagliava la nostra terra. Il ricordo delle rivolte studentesche del 1848 tormentava i miei sogni, accendendo un fuoco dentro di me. Determinata a liberarmi dalle catene dell'oppressione, la mia famiglia mi mandò in Piemonte nel Regno di Sardegna per proseguire gli studi. Lì, tra paesaggi immobili e nuovi orizzonti, ho trovato la mia voce tra sussurri di rivoluzione.

Dopo essermi laureato in Giurisprudenza presso la prestigiosa Università di Pavia, mi sono ritrovato a intraprendere un altro viaggio straordinario. Nel 1862, l'appello alla liberazione risuonò in tutto il paese, echeggiando tra strade e vicoli, valli e montagne, colline e città, fino a raggiungere gli angoli più profondi del Paese… e della mia anima. Garibaldi, figura dallo spirito indomito, invocò i cuori degli uomini coraggiosi ad unirsi a lui nella giornata aspromontana finalizzata alla liberazione di Roma.

Il destino volle che diventassi volontario di Garibaldi durante la campagna del Trentino del 1866. Senza esitazione, ho abbandonato tutto deciso a seguire le sue orme, orgoglioso del mio ruolo di soldato del cambiamento. Fu lì, nel caos della battaglia, che scoprii la vera misura del mio coraggio.

Incorporato nel Secondo Reggimento Volontari Italiani, mi ritrovai a prestare servizio come quartiermastro nella Terza compagnia del Capitano Bartolomeo Bezzi Castellini. Insieme, abbiamo combattuto valorosamente per liberare Valvestino e Magasa, i nostri spiriti infiammati dalla speranza di un futuro migliore. Le nostre azioni attirarono l'attenzione del Maggiore Luigi Castellazzo, che applaudì il nostro coraggio, guadagnandomi una menzione d'onore al valore in quel fatidico giorno del 21 luglio 1866.

Ma non sono stato l’unico Levi Civita a gettare i semi dell’eroismo. Al mio fianco ha combattuto mio fratello Anselmo, altrettanto devoto alla causa. Fu riconosciuto anche il suo operato nel combattimento di Pieve di Ledro del 18 luglio, in quanto anche lui venne insignito di una medaglia d'argento al valor militare. Il nome Levi Civita risuonava di orgoglio e sacrificio.

Ritornando nell'abbraccio di Padova dopo la liberazione del Veneto nell'ottobre del 1866, ho intrapreso un nuovo capitolo della mia vita. È stato qui, tra le strade familiari che hanno testimoniato la mia crescita, che ho iniziato il mio percorso professionale. I campi del diritto civile e commerciale divennero il mio dominio e presto la mia reputazione si diffuse a macchia d'olio. Nell’ambito legale mi sono ritagliato un posto, ottenendo ammirazione e rispetto diffusi.

Ma ero più che un semplice uomo di legge. Profondamente legato all'anima di Padova, ho cercato di proteggere e preservare i suoi sacri tesori. E così, è stato grazie al mio impegno che la Cappella degli Scrovegni, adornata da suggestivi affreschi opera dello stesso Giotto, ha trovato porto sicuro sotto l'occhio vigile del Comune di Padova.

Mentre si diffondeva la voce dell'intenzione della famiglia Foscari di vendere gli inestimabili affreschi di Giotto a una società straniera, disordini e preoccupazioni riempivano l'aria. Il Comune, nel disperato tentativo di evitare una simile tragedia, ha intrapreso una serie apparentemente infinita di tentativi di espropriare l'opera d'arte. Tuttavia, nonostante i loro sforzi, nessuno ha avuto successo.

È stato durante questo periodo tumultuoso che io, da giovane avvocato, divenni foriero di una soluzione ingegnosa, un “espediente” come mi piaceva chiamarlo. Il mio scopo era chiaro: impedire il trasferimento di tali tesori culturali nelle mani di privati. Per raggiungere questo obiettivo, una fitta raccolta di documenti e testimonianze è diventata il mio arsenale per constatare al di là di ogni dubbio che la Cappella, sin dalla sua nascita, non era stata concepita per essere soggetto ai capricci degli interessi privati ma per essere destinata all'uso pubblico.

Questa vittoria ha segnato uno dei successi coronanti della mia illustre carriera. E in effetti, i miei sforzi si sono estesi ben oltre l’ambito legale. Come senatore del Regno d'Italia, la mia influenza ha abbracciato diversi ambiti della società.

È stato un giusto tributo al patrimonio artistico che abbelliva la nostra terra, una testimonianza del potere della bellezza in mezzo al caos di questo mondo.

Il mio amore per Padova non si fermò qui, poiché divenni consigliere comunale nel 1877 e infine ricoprii il ruolo di sindaco dal 1904 al 1910, impegnandomi per implementare creare benessere e diffondere ideali di libertà e uguaglianza che si estendessero oltre qualsiasi tipo di differenze, incluse quelle considerate sacre perché ispirate dalla fede. Mi battei con tutto me stesso per la laicità scolastica e per favorire l’istruzione femminile. Perché il sapere, tanto quanto l’aria e le strade della città, doveva essere di tutti. Senza alcuna distinzione. Il polso di Padova batteva dentro di me e lavoravo instancabilmente per promuovere la sua prosperità e abbracciarla. la sua ricca storia.

Nel 1908 mi fu conferito un grande onore, che toccò il profondo del mio essere. Il 3 giugno sono stato nominato senatore del Regno d'Italia. Nelle sacre sale del potere, ho combattuto per la giustizia e l’uguaglianza, con la mia voce che risuonava di passione e determinazione.

Il mondo era sull’orlo di un grande cambiamento e mi sono ritrovato travolto dal suo tumultuoso abbraccio. Mentre la Prima guerra mondiale si profilava all’orizzonte, mi convinsi che la nostra nazione avesse il dovere di unirsi alla lotta per un futuro migliore. La mia determinazione non ha mai vacillato e ho continuato a prestare la mia voce alla causa, sapendo che i nostri sacrifici non sarebbero stati vani.

Il tempo scorreva rapidamente e con il passare degli anni il mondo cambiò come sempre. Ma la mia eredità è rimasta, impressa nel tessuto stesso di Padova. Un busto, magistrale creazione delle mani del talentuoso Augusto Sanavio, risiede ora nella sala consiliare padovana. È un profondo ricordo del percorso che una volta percorrevo, un faro di ispirazione per coloro che osano sognare.

E all'interno della mia stirpe, la grandezza ha continuato a fiorire. Il mio amato figlio, Tullio Levi Civita, emerse come un luminare nei regni della matematica e della fisica, la sua genialità raggiunse ben oltre la nostra umile patria. Il suo nome divenne sinonimo di genio, i suoi contributi portavano il peso stesso delle stelle. E mio nipote, Alessandro Levi, un'anima nobile nata dai lombi di mia sorella Irene, è cresciuto fino a diventare una figura di immenso coraggio e forza. Lottò valorosamente contro la morsa opprimente del fascismo, lasciando un segno indelebile nella storia della nostra Nazione.

Mentre rifletto sull’innumerevole quantità di eventi, scelte e circostanze che si sono susseguiti costruendo la mia vita nel corso degli anni, un travolgente senso di gratitudine pervade il mio cuore. Gratitudine per le opportunità che mi hanno formato, per le battaglie che ho combattuto e per l'amore che ha guidato ogni mio passo, compreso l’ultimo, avvenuto il 30 marzo 1922.

Sono Giacomo Levi Civita, un uomo che ha abbracciato lo spirito del cambiamento, sostenendo i valori di giustizia e libertà fino al mio ultimo respiro. E nel regno della memoria, la mia storia danzerà per sempre sulle labbra di coloro che pronunceranno il mio nome.