17 Luglio 2022
In occasione dell'anniversario dell'arresto degli ebrei internati Campo di di concentramento provinciale di Vo' il 17 luglio luglio del 1944 , vi proponiamo un articolo di Eva Vitali Norsa relativo alla ricerca che ha realizzato con Daniela Levi in ricordo della famiglia torinese Valabrega Jachia, arrestata a Montagnana, internata a Vo' e poi deportata e uccisa ad Auschwitz.
"A Torino, in un’umile casa di ringhiera, viveva la famiglia Valabrega Jachia, così composta: Evelina Valabrega, vedova Jachia, nata a Torino nel 1907, i suoi 4 bambini Pasqua del 1932, Anselmo del 1934, Ercole del 1936, Ida del 1937, sua madre Ida Moresco nata a Livorno nel 1877, e suo fratello Umberto del 1914.
Il lavoro è di ricerca è stato possibile grazie alle informazioni presenti ne “Il libro della memoria” di Liliana Picciotto e all’Archivio Terracini, dove è stato possibile consultare le schede di tutti i deportati e le richieste di notizie presentate dai fratelli nel dopoguerra.
Attraverso la consultazione del fascicolo relativo ad Evelina Valabrega presso l’archivio dell’EGELI (L’Ente gestione e liquidazione immobiliare istituito con le leggi razziali del 1938 per curare la gestione e liquidazione dei beni ebraici espropriati) è risultato che la giovane vedova con i quattro bambini, il fratello Umberto e la madre viveva in affitto in via Baretti 31 in un alloggio di ballatoio molto modesto al 3° piano. L’elenco dei beni confiscati nel 1943 è terribile: una carrozzina senza una ruota, piatti rotti, mobilio rovinato. La povera Evelina nei documenti compare ora come casalinga ora come cameriera, il fratello fattorino disoccupato, certo una famiglia che viveva in gravi ristrettezze economiche
Dal diario di Bruno Valabrega, figlio di Guglielmo, un altro dei fratelli Valabrega, risulta che a quell’epoca Evelina con i fratelli Umberto, Anselmo, Guglielmo e le loro famiglie erano già partiti da Torino in treno per Trieste. Vicino a Milano il treno si fermò per un bombardamento, Guglielmo e famiglia riuscirono a fuggire e ritornare a Torino e si salvarono nascondendosi presso dei conoscenti. Anselmo arrestato a Milano, detenuto a San Vittore poi a Fossoli, da lì ad Auschwitz, morì a Mauthausen.
Evelina con la mamma Ida, il fratello Umberto e i 4 figli, invece, per motivi ancora ignoti, arrivò a Montagnana, vicino a Padova, il 13 dicembre 1943 e qui si stabilì in via Decima n.3.
A testimonianza della loro breve permanenza a Montagnana abbiamo reperito vari documenti, all’ Archivio storico del Comune di Montagnana e soprattutto nel Fondo Questura dell’Archivio di Stato di Padova
Il 15 dicembre 1943 il Podestà di Montagnana scrive alla prefettura di Padova che “la famiglia di ebrei sfollati da Torino non possiede né beni mobili né immobili e ha finora vissuto dei soccorsi corrisposti dalla Comunità israelitica di Padova”.
Il 20 dicembre 1943 la Tenenza di Montagnana, legione territoriale dei Carabinieri di Padova comunica alla Questura di Padova che una famiglia di sfollati da Torino risiede dal 13 dicembre in Montagnana, via Decima 3 elencandone tutti i componenti.
La notte tra il 23 e il 24 dicembre 1943 tutti vennero arrestati dalla Guardia nazionale repubblicana e portati al campo di concentramento di Villa Contarini Giovanelli Venier a Vo’ Vecchio che funzionò per circa 6 mesi fino ad ospitare 47 ebrei, prevalentemente padovani.
Nella splendida cornice di questo edificio e del suo parco, la vita doveva essere molto dura per i prigionieri, che soffrivano per la fame e il freddo, pur godendo, almeno all’inizio, di una certa libertà di movimento.
Nell’archivio parrocchiale di Vo’ Vecchio si conserva una memoria del parroco don Giuseppe Raisa che ricorda: “Tra gli internati vi erano persone di varie età e condizioni sociali. Uomini e donne, gioventù maschile e femminile, tre fanciulli dai 7 ai 10 anni [In realtà erano 4 tra cui Ida Jachia di anni 6] figli di una vedova poverissima, macilenti, mal sviluppati”
Il 17 luglio 1944 tutti gli ebrei presenti nel campo furono trasferiti dai tedeschi su due camion a Padova e il campo smantellato.
Sempre Don Raisa: “Prima di partire gli hanno tolto tutto, anelli, soldi, orologi, tutto quello che avevano addosso. Anche i vestiti. Hanno detto che quello che avevano addosso bastava. Hanno fatto l’appello. E poi via con i camion”. Le donne e i bambini furono rinchiusi nel carcere dei Paolotti, gli uomini nella casa di pena di piazza Castello. Vi rimasero due giorni, poi nella notte due camion, uno per gli uomini, l’altro per le donne e i bambini, li condussero a Trieste nella Risiera di San Sabba e da qui il 31 luglio partirono (convoglio T33) diretti ad Auschwitz dove arrivarono il 3 agosto. Dei 47 ebrei internati a Vo’ solo 3 sopravvissero, tra cui una donna, Sylva Sabbadini, che lascia testimonianza della morte dei bambini e della nonna all’arrivo ad Auschwitz. Evelina e suo fratello Umberto non subirono la selezione subito ma morirono in luogo e data ignoti."
La ricerca è stata ora pubblicata nel sito dell'Egeli
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