Abraham Catalan – Podcast

Il mio nome è Abraham Catalan, uno dei tanti figli della comunità ebraica di Padova. Sono nato proprio qui, nell'anno 1595. Fin dalla tenera età, il desiderio di svelare i misteri del mondo ha iniziato a illuminare il mio cammino sin dai primi passi. La mia sete di conoscenza mi ha portato a proseguire gli studi di medicina e alchimia, approfondendo testi antichi alla ricerca della saggezza dimenticata. Nel corso della mia vita ho dedicato innumerevoli ore allo studio, alla ricerca e alla comprensione del mondo naturale che mi circonda.

Nel tempo in cui ho vissuto, il diciassettesimo, secolo la vita per la comunità ebraica padovana era estremamente dura e impegnativa, ma allo stesso tempo unica. Padova, infatti, era a quel tempo l'unica città europea in cui gli ebrei potevano laurearsi all’università. Ciò rappresentò una rivoluzione culturale, perché consentiva a cristiani ed ebrei di interagire su basi quasi paritarie. Tuttavia, in questa atmosfera accademica, c’erano ancora casi in cui gli studenti ebrei dovevano affrontare discriminazioni e pregiudizi.

Uno di questi esempi era la “tassa” che gli studenti ebrei, me compreso, dovevano pagare ai nostri colleghi cristiani dopo la laurea. Questo rappresentava un ingiusto fardello posto sulle nostre spalle. Un fardello che abbiamo faticosamente trascinato attraverso la resilienza e la forza della fede. Noi studenti ebrei, infatti, studiavamo medicina contemporaneamente alla Torah, dedicandoci a due mondi diversi. Nonostante le sfide che dovemmo affrontare, molti studenti ebrei perseverarono e dal 1517 al 1619 circa 80 ebrei ottennero la laurea in medicina presso l'Università di Padova.

Questo ambiente inclusivo attirò anche ebrei provenienti dalla Germania, dalla Polonia e dal Levante che vennero a studiare a Padova. Abbiamo formato una comunità affiatata all'interno della città, trovando conforto e forza nella reciproca compagnia.

Tuttavia, occasionalmente sorsero disordini poiché alcuni studenti di medicina cristiani ignoravano la sensibilità culturale che circondava le autopsie sugli ebrei deceduti. Per impedire questa pratica noi ebrei versavamo ingenti somme, fino a 100 lire annue, allo Studium Patavinum, l'università, a titolo cautelativo. Nonostante questi sforzi, incidenti legati a questo problema continuarono a verificarsi nel sedicesimo e diciassettesimo secolo.

Nel mezzo delle nostre lotte e delle dinamiche uniche all’interno della città, la tragedia ha colpito la nostra amata Padova sotto forma di peste. Nel 1630-31 la peste devastò la nostra comunità, lasciando dietro di sé morte e disperazione. Io, insieme ad altri tre medici ebrei, fui incaricato di monitorare le condizioni di vita nel ghetto e di adottare le misure necessarie per contenere il contagio.

A quel tempo nel ghetto di Padova risiedevano 727 persone e ben 634 furono colpite dalla peste. Sfortunatamente, 421 nostri fratelli e sorelle hanno ceduto alla sua presa mortale. L’entità della devastazione ci costrinse a seppellire i defunti in fosse comuni, lasciando poche tracce della loro esistenza nel cimitero.

È stato un periodo buio e difficile, poiché abbiamo assistito in prima persona alla sofferenza e al lutto della nostra comunità. Abbiamo fatto del nostro meglio per fornire assistenza medica e conforto alle persone colpite dalla malattia, lottando contro il prezzo sia fisico che emotivo che ha imposto alla nostra gente.

Nonostante le restrizioni imposte ai medici ebrei, ai quali non era permesso esercitare la professione fuori dal ghetto, le autorità a volte chiudevano un occhio su questa regola in tempi così disperati. C’era la consapevolezza che la nostra competenza e dedizione erano necessarie per alleviare la sofferenza di tutte le persone, indipendentemente dalla loro fede.

Sfidando l’ombra nera della peste, la nostra comunità rimase unita, trovando forza nelle esperienze condivise, nella preghiera e nella fede. Traendo insegnamento dalla nostra storia, ci stringemmo gli uni agli altri, sostenendoci a vicenda, affrontando la disperazione che ci circondava attraverso la forza della speranza. I berretti neri che noi studenti di medicina ebrei potevamo indossare, proprio come i nostri colleghi cristiani, simboleggiavano l’unità che sentivamo, trascendendo le barriere che la società ci aveva imposto.

Ripensando a quegli anni tumultuosi, il vento che scivola tra le vie di Padova sussurra tutt’oggi una melodia composta da sillabe mute, volte a rievocare anni nei quali il ghetto e la città intera erano pervasi da una profonda tristezza per le vite perse e il dolore sopportato.

Ma è proprio attraverso quel dolore che ho trovato conforto nella mia ricerca. Ho raccolto una grande quantità di conoscenze, combinando la mia esperienza medica con uno spirito empatico mentre cercavo di comprendere e combattere questo implacabile avversario. Così nacque il trattato manoscritto intitolato "'Olàm Hafùch", le cui pagine contengono la saggezza e le esperienze acquisite durante quei giorni bui.

Sebbene rimasto inedito finché rimasi in vita, ho spesso sognato che un giorno il mio lavoro sarebbe arrivato nelle mani delle generazioni future, facendo luce sulla triste realtà di quel tempo. Il manoscritto, testimonianza dell'indomabile volontà dello spirito umano di combattere la disperazione, contiene non solo un'analisi scientifica della peste ma anche testimonianze del coraggio, del sacrificio e della resilienza dei miei concittadini.

Tuttavia, il seme piantato da me e altri luminari della scienza e della fede, ha permesso all’intera comunità di resistere e di continuare ad esistere attraverso resilienza e i legami che si svilupparono all’interno della nostra comunità. La lotta che abbiamo affrontato durante la peste e le sfide che abbiamo incontrato come individui ebrei a Padova hanno inciso a caratteri indelebili un capitolo fondamentale nella nostra storia collettiva, ricordandoci della nostra comune umanità e del potere della solidarietà.

Riflettendo sulla mia vita, giunta a termine nell’anno 1642, mi rendo conto che la vera realizzazione non sta semplicemente nel numero di risultati o riconoscimenti ottenuti, ma nella conservazione e condivisione della conoscenza per il progresso dell’umanità intera, in un cammino di armonia e inclusione. E così, mio caro visitatore, mentre sei qui oggi, ti invito ricordarmi non per ciò che sono stato come individuo, ma per il senso profondo della mia esistenza, rappresentato dalla mia storia e dalle parole incontaminate nelle pagine di "'Olàm Hafùch". Possa la mia testimonianza servire come tributo alla resilienza dello spirito umano, per ricordare che anche nei tempi più bui, la luce della conoscenza può guidarci verso un futuro più luminoso.