Esistono sono storie in cui la verità è celata dalle nebbie del tempo. Storie come la mia, nella quale interi capitoli sono stati ingoiati in un limbo di vuoto sospeso tra le nebbie dei secoli. L’unica certezza è che sono vissuto attraverso le mie opere, la mia parola, il mio pensiero e la mia fede.
Il mio nome è Judah Minz, talmudista, studioso di grande fama. Il mio nome, Minz, deriva dalla città tedesca di Mainz, anche conosciuta come Magonza, dove sono nato nel 1405. La mia famiglia, una stirpe di studiosi e banchieri, portava questo nome con orgoglio.
In quel tempo la comunità ebraica di Magonza era coinvolta in molte attività economiche, prosperose, tra cui il commercio, il prestito di denaro e l'artigianato. Contribuivamo quindi allo sviluppo economico della città, giocando un ruolo fondamentale nelle fiorenti reti commerciali lungo il fiume Reno. Fiorivano sinagoghe e istituzioni comunali che sostenevano i bisogni spirituali della comunità. Studiosi e rabbini ebrei erano attivi negli insegnamenti religiosi e contribuivano alla più ampia tradizione intellettuale ebraica.
Tuttavia, d’un tratto, il quindicesimo secolo portò con se una stagione di odio e intolleranza, dando inizio a un periodo molto difficile per noi ebrei di Magonza e di altre città d'Europa. Il secolo vide numerose espulsioni e persecuzioni, spinte da sentimenti antiebraici e tensioni religiose. Nel 1462 Magonza subì una significativa espulsione di ebrei, che portò alla partenza forzata di molte famiglie della comunità ebraica. Compresa la nostra.
Costretti a lasciare la nostra casa ancestrale, vagammo in Europa volgendo lo sguardo verso sud, fino a trovare rifugio nella vivace città di Padova, una città incastonata tra i suggestivi fiumi Brenta, Brentella e Bacchilion. Un luogo dove gli echi delle tradizioni ebraiche erano radicati e risuonavano nel tempo. Al mio arrivo divenni ben presto il faro della comunità ebraica di Padova. È stato un onore che ho portato avanti con umiltà e dedizione. Ho fondato l'accademia rabbinica locale, conosciuta come Yeshiva, e per quarantasette anni ne sono stato il preside.
Le mura di Yeshiva risuonavano delle menti entusiaste dei giovani studenti, attratti dalla ricchezza di conoscenza che offrivamo. Molti di questi studenti diventarono rabbini rispettati, diffondendo saggezza e insegnamenti in tutta Europa. La nostra accademia è diventata un faro di luce, illuminando il percorso di coloro che cercano saggezza e comprensione.
Durante la mia permanenza a Padova ebbi corrispondenza con stimati rabbini dell'epoca. Una di queste corrispondenze fu con Eliahu Mizrakhi, il venerato rabbino della Turchia. In una delle sue risposte, scrisse di me: "Ho riflettuto profondamente sulle parole del nostro maestro Judah e in lui ho trovato una profonda saggezza. La sua saggezza supera persino la sua fama". Tali parole umiliano e rafforzano l’importanza della conoscenza che imparto.
Al di là del mondo degli studi talmudici, la mia sete di conoscenza si estendeva ad altri argomenti, fino a generare storie avvolte da alcuni misteri, uno dei quali è legato alla cattedra della facoltà di Filosofia dell’Università di Padova. Non vi dirò ciò che è accaduto realmente, perché… una storia è più affascinante, se coperta da un piccolo velo di mistero, non credete? La vicenda è legata Marco Samuele Ghirondi, rabbino locale, che ha raccontato di aver scoperto il mio ritratto ornato da una dedica elogiativa presso la facoltà di Filosofia di Venezia. È possibile che Ghirondi, nella sua ammirazione, mi abbia confuso con il geniale filosofo Elia Del Medigo.
In effetti tra me e Del Medigo c'è stato un litigio, ma le ragioni sono andate perdute nel tempo e vagano nel limbo dei ricordi dimenticati. La disputa generale, tuttavia, ruotava attorno a un dilemma legato al fatto che la Comunità dovesse sostenere o abbandonare un'antica tradizione sinagogale. Mentre Del Medigo ha avuto un approccio di mentalità più aperta, io, fedele alle rigide tradizioni della mia origine tedesca, mi sono fermamente opposto a qualsiasi deviazione. Tali scontri di opinioni erano, allora come ora, inevitabili, ma benedetti. È solo attraverso di essi, infatti, che la nostra fede e le nostre tradizioni vengono messe alla prova, perfezionate e, infine, rafforzate per affrontare le avversità. Avversità che per la comunità ebraica non si annidano tra i conflitti tra idee, ma giungono ogni volta da un oscuro altrove che alberga nei cuori degli uomini afflitti dal germe dell’odio. Così accade sempre…
E così accadde anche per noi, tutti noi, in quanto cittadini di Padova quando la nostra città venne attaccata da Venezia. Non fu solo il sangue a scorrere tra i vicoli come un fiume in piena. All’odio e alla morte seguì la bestia cieca del caos, che portò alla distruzione quasi totale della nostra preziosa biblioteca, che tra i molti testi custodiva anche i miei manoscritti. Molti dei quali andarono perduti per sempre. È stata una grave perdita per la nostra comunità, poiché le parole scritte hanno preservato l’eredità dei nostri insegnamenti.
Al termine della guerra, quando i soldati veneziani issarono la bandiera di Massimiliano d'Austria, noi ebrei assistemmo a ulteriori atrocità. Tutte le nostre case e i nostri averi vennero saccheggiati senza alcuna pietà. Senza alcuna vergogna. Senza alcuna umanità.
Resistemmo con tutte le nostre forze, impegnati a far sopravvivere il nostro popolo, la nostra fede e le nostre idee.
Ma nel mondo dei vivi, tutto ha una fine… e anche io, come le pagine dei miei testi, cessai di esistere nel mondo materiale un giorno d’autunno, il 27 settembre 1508. La mia esistenza, tuttavia, si perpetuò non solo attraverso la parola scritta e orale, ma anche grazie alla mia prole, anch’essa destinata a scrivere la storia. Una storia che, al contrario della mia, era illuminata dalla grazia e dalla forza della fede.
Mio figlio, Avraham Minz, mi succedette alla guida dell'Accademia rabbinica di Padova. Anni dopo si imbatté in una raccolta di sedici responsa scritti da me. Inondato di emozioni, ne assicurò la preservazione, offrendo alle generazioni future uno sguardo sulla saggezza che avevo impartito.
Nel 1553 questi responsa conservati, insieme all'opera principale di Abramo e ai responsa di Meir Katzenellenbogen, marito di mia nipote Anna, furono pubblicati a Venezia. Questo tesoro letterario e divenuto una fonte storica inestimabile, facendo luce sulle sfide affrontate dalla nostra comunità durante il mio tempo. Le mie decisioni si sono sempre orientate verso le rigide tradizioni del patrimonio ebraico tedesco, offrendo una bussola stabile per la nostra comunità.
Tra le mie numerose sentenze, una delle più famose fu quella che consentiva agli uomini di travestirsi da donne durante la gioiosa festa di Purim. Tali indulgenze portano gioia alla nostra comunità, unendoci nella celebrazione e rafforzando i vincoli di fede.
Purtroppo anche il cimitero ebraico di Padova soffrì molto durante la guerra. Le tombe, inclusa la mia, furono distrutte, lasciandoci incapaci di identificare il luogo di riposo finale dei miei resti mortali. Eppure c’è un barlume di speranza poiché la tradizione locale suggerisce che le mie spoglie fossero tra quelle traslate nell’attuale Cimitero di Via Sorio nel 1955.
Io, Judah Minz, ho tenuto la fiaccola della saggezza in un periodo di grandi sconvolgimenti e incertezze. Nonostante le sfide affrontate dalla nostra comunità, ho dedicato la mia vita ad arricchire l’eredità della nostra eredità ebraica.
Attraverso i miei insegnamenti a Yeshiva, la mia corrispondenza con stimati rabbini e persino le controversie filosofiche che ho incontrato, ho contribuito a plasmare la comunità ebraica di Padova nel quindicesimo secolo.