Benvenuti nel luogo in cui giacciono le mie spoglie mortali e i miei ricordi. Un luogo in cui la mia vita terrena è giunta al termine e la mia eredità ha iniziato a muovere i primi passi ormai molti, molti anni fa, per viaggiare nello spazio e nel tempo, fino a giungere a questo esatto istante.
Mi chiamo Meir Ben Isaac Katzenellenboghen. Nacqui a Praga, nel 1482, e iniziai presto i miei studi sotto la guida del rabbino Ya‘acov Pollak. La mia nascita fu annunciata da una magnifica volta stellata, presagio di una vita che avrei dedicato a diffondere conoscenza e speranza oltre l’oscurità del presente. Fin dal mio primo respiro, ho percepito chiaramente che sarei stato destinato a una vita molto intensa, ricca di difficoltà, avventura e saggezza, che avrei acquisito negli anni attraverso la forza dell’identità e della fede.
Quando giunse il tempo di lasciare Praga, mi trasferii a Padova, per studiare presso l'Accademia Rabbinica sotto la guida di Judah Minz.
Padova, a quel tempo, era una città vivace e ricca di commercio, cultura e attività religiose e intellettuali, immersa nel cuore della Repubblica di Venezia.
Padova mi accolse a braccia conserte, poiché la comunità ebraica, pur essendo parte integrante del tessuto economico e sociale, era circondata da pregiudizi e un tale odio che la confinava di fatto all’interno di un ghetto quando ancora non erano stati chiusi i cancelli - il ghetto a Padova fu chiuso agli inizi del 1600.
La mia mente, però, rimase sempre libera e proiettata verso nuovi orizzonti, così come il mio spirito, illuminato dalle meravigliose diversità di cui era composto mondo. Il mio cuore e la mia mente custodivano un bagaglio dal valore inestimabile, costituito dalla necessità di acquisire e condividere conoscenza. Proprio grazie a quella necessità sono riconosciuto tuttora, nel mondo ebraico, come uno dei maestri rabbini italiani più stimati del mio tempo.
La mia vita, però, prese una svolta inaspettata quando, dopo la scomparsa di mio suocero, Avraham Mintz, fui chiamato ad assumere l’incarico di guida presso l’Accademia Rabbinica di Padova. Ma non fu solo questa responsabilità a plasmare la mia eredità. Il destino mi portò a presiedere il Consiglio Regionale dei Rabbini, con sede a Venezia. Nonostante le molte responsabilità acquisite grazie a quel ruolo rimasi dedito agli sforzi del consiglio, e la mia fede mi aiutò a tramutare le insicurezze in domande per le quali cercare risposte.
Nel corso degli anni, la dedizione allo studio, la gioia della condivisione e l’esperienza mi portarono a divenire un punto di riferimento, tanto che diversi rabbini, incluso lo stimato Moses Isserles, cercarono il mio consiglio come Av Bet Din/Presidente del Tribunale Rabbinico della Repubblica di Venezia. Diversi studiosi del mio tempo, Samuel di Modena, Yosef Katz, Salomon Luria, Ovadiah Sforno e Moses Alashkar, intrattennero una corrispondenza con me, cercando chiarezza su intricate questioni rituali.
Nei miei ultimi anni, quindi, scelsi di utilizzare la conoscenza acquisita come un piccolo faro volto a favorire e alimentare il dialogo tra studiosi e teologi, colmando gli abissi tra culture e fedi. Nel 1554, i leader di sette comunità italiane si riunirono a Ferrara, chiedendo il mio intervento attraverso delle takkanot, ovvero i decreti rabbinici, con l'obiettivo di risolvere le controversie che minacciavano la loro unità. Anche nel 1555 venni chiamato ad intervenire contro il blocco ebraico ad Ancona. Questa protesta, sostenuta da Don Giuseppe Nassì e Gracia Mendes Nassì, ha ricevuto il sostegno di eminenti rabbini turchi a causa delle persecuzioni subite dai marrani ad Ancona. Inoltre, nel 1558, ho approvato due divieti contro lo studio della Kabbalàh.
I miei compiti si estesero ben oltre la sfera religiosa, tanto che arrivai a rappresentare la provincia di Padova negli affari più ampi presso la sede della Repubblica Veneta. Eppure, nonostante queste responsabilità, il mio comportamento rimase umile e la mia cura estese a tutti gli studenti dell’Accademia Rabbinica di Padova, che accolsi come figli. In particolare a quelli come me che avevano lasciato le loro case per proseguire gli studi della Torah.
A Padova si susseguirono le stagioni, finché non arrivò anche per me l’autunno. Nonostante l’inesorabile trascorrere del tempo, però, non persi mai la voglia di imparare, ascoltare e condividere ciò che la vita mi aveva dato la possibilità di imparare. Aprii le porte della mia casa, facendola diventare un rifugio per lo scambio intellettuale, dove le menti convergevano e le idee fiorivano.
All’alba del 1565, in una Padova tinta di bianco dai colori invernali, io, Meir Katzenellenbogen, chiamato da alcuni il venerabile saggio, esalai l’ultimo, profondo respiro. La mia scomparsa fu pianta da moltitudini di persone, dagli studiosi ai venditori ambulanti, che erano rimasti toccati dalla mia gentilezza e saggezza.
Il cimitero di Padova, dove i sussurri della storia si mescolano al fruscio delle foglie, divenne la mia ultima dimora. Mentre venivo sepolto tra preghiere solenni e addii pieni di lacrime, la mia eredità muoveva i primi passi attraverso i secoli, perché rimase incisa non solo negli epitaffi di marmo ma nei cuori e nelle menti di coloro che sono stati toccati dal mio spirito indomabile.
In quel momento, a tutti tornò alla mente un aneddoto la cui frase conclusiva si sarebbe rivelata, col passare degli anni, una vera e propria profezia.
Anni prima, in un mercato affollato, di fronte a studenti e anziani, qualcuno mi chiese quanti figli avessi generato. Ridacchiai piano ricordando l'espressione incredula del mio interlocutore quando sentì che avevo un solo erede biologico, mio figlio Samuel Judah. In quel momento ebbi una visione: la mia eredità si sarebbe estesa ben oltre la linea di sangue. Così feci una pausa, lasciando che un silenzio denso di attesa lasciasse tutti in sospeso. "In effetti", continuai, "… Avrò un milione di eredi! "
In quegli istanti non mi resi conto di quanto le mie parole avrebbero risuonato profondamente nei secoli a venire, trascendendo i confini del lignaggio e dell’eredità. Da quel momento, infatti, io, Meir Katzenellenbogen iniziai a lavorare con tutto me stesso per costruire in un'eredità forgiata non attraverso il passaggio di ricchezze o titoli, ma attraverso l'impatto esercitato su tutti coloro che avevano aperto il cuore e la mente alle mie parole.
La mia eredità ebbe la forza di sopravvivere attraverso le generazioni, non nell'oro o nelle proprietà, ma nei cuori e nelle azioni di coloro che erano stati ispirati dai miei insegnamenti e dal mio incoraggiamento a condividere amore, sapere e benevolenza.
Ora è giunto il momento di lasciarvi in compagnia del silenzio e della riflessione. Come una sinfonia, la mia vita è stata un’opera ricca di armonia e contrasti, di conoscenza, amore. Una sinfonia che tutt’ora echeggia negli annali del tempo, continuando a ispirare intere generazioni a cercare la saggezza oltre i confini della propria comprensione.
A testimoniare la mia eredità, una tavola di legno nella sinagoga di rito ashkenazita di Padova. Su di esso è inciso: "Fino ad oggi nessun uomo si è seduto qui".
Alla mia morte, mio figlio Samuel Judah mi è succeduto e ora riposa proprio qui, accanto a me. Questo luogo di riposo è divenuto, nel tempo, meta di pellegrinaggio per gli ebrei di tutto il mondo, che porgono i propri rispetti ponendo una pietra sulle nostre lapidi, mantenendo vivo il nostro ricordo.